Vocazione alla Santità e realtà Ultime

i santi e i defunti guida verso l’Eternità

 

Hii sunt qui veniunt de tribulatione magna et laverunt stolas suas et dealbaverunt eas in sanguine agni (Ap. 7, 14.)

Credo quod redemptor meus vivit, Et in novissimo die de terra Surrecturus sum, Et in carne mea videbo Deum, Salvatorem meum. (Vulg. Gb. 19, 25- 26.)

 

Le domande sulle realtà Ultime dell’uomo e i Novissimi trovano la loro risposta nella liturgia dei Santi e dei Defunti che la Chiesa ci propone in immediata sequenza nell’Anno Liturgico, rispettivamente nei giorni uno e due novembre. Il brano, che la Liturgia ci fa meditare, tratto dal capitolo sette del libro dell’Apocalisse o più propriamente detto della Rivelazione, dinanzi alla visione degli Eletti che stanno al cospetto dell’Agnello avvolti in candide vesti, ci risponde con un’immagine piuttosto forte circa l’identità dei Santi: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello.” (Ap. 7, 14.) Definiamo meglio chi sono i santi. Premesso che il solo Santo è Dio, la Scrittura ci insegna che la Santità è il dono di Dio al suo popolo (cfr. Es. 19, 5- 6) ovvero il dono di Cristo alla sua Chiesa e a ciascuno dei suoi membri, (cfr. 1Pt. 2, 9) infatti san Paolo si rivolge ai romani chiamandoli: “diletti da Dio e santi per vocazione.” (Rm. 1, 7) La Chiesa stessa- nel Catechismo al punto 1227- ci dice che il Battesimo, tramite l’azione dello Spirito Santo, ci purifica, santifica e giustifica. Ogni cristiano è quindi chiamato alla santità, esattamente è invitato a partecipare di quel dono che Dio ci ha fatto attraverso Cristo Gesù sin dal giorno del suo Battesimo! Senza perifrasi: ad essere santi si inizia dal momento del Battesimo che ci rende figli di Dio e infatti san Giovanni nella prima lettera ci ricorda che: “noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come Egli è.” (cfr. 1 Gv. 3, 1- 3.) Ecco che la solennità di tutti i Santi ci introduce alla commemorazione dei defunti, quasi a volerci dire di non aver paura per quel che avverrà dopo la vita terrena, questo è un anticipo di quello che sarà dopo l’attraversamento della “tribolazione”. Non è un caso che il morire, esperienza unica e incomunicabile secondo Jankélévitch, nella Liturgia venga reso dal verbo latino de- fungere, ossia cessare il proprio servizio nel pellegrinaggio terreno proteso tra le categorie spazio- temporali, per assumere la dimensione “altra” dell’esistenza, dimensione intercedente presso Dio (Chiesa purgante) che ci fa ascendere il primo gradino delle beatitudini: “beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.” (Mt. 5, 2.) E il defunto è così povero da aver cessato di possedere pure il proprio corpo! Ecco che l’esperienza di Giobbe, spogliato pure lui come un morto persino del proprio corpo, il quale seminato corruttibile risorgerà incorruttibile, ci rassicura e ci promette la partecipazione alla visione di Dio, (Chiesa trionfante) dicendo: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, con la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro.” (Vulg.Gb. 19, 25- 27.)

 

Danilo Mauro Castiglione

Oblato Benedettino Secolare