La Quaresima:

tempo propizio per attraversare il deserto dell’uomo d’oggi.

 

Nunc tempus acceptabile

Fulget datum divinitus,

Ut sanet orbem languidum

Medela parsimoniae. 

(Inno dell’Ufficio delle letture T. Q.)

 

L’attimo, l’ora di Dio ha il sapore dell’eternità e ci invita a coglierne il dono per risanare la nostra umanità: 

“Ora è il momento propizio, fiorisce il dono divino, affinché risani l’umanità infiacchita con il rimedio della sobrietà.”

 Così la Chiesa ci invita a cantare nel cuore dell’oscurità notturna dei giorni feriali della Quaresima per condurci, attraverso la Grazia illuminante di Cristo, a superare le tenebre e le ferite del cuore attraverso la metànoia (μετάνοια) - quel mutamento nel modo di pensare, di sentire, di giudicare le cose che urge attuare in noi - dopo la Teofania di Cristo nella nostra vita, dopo l’incontro con l’Assoluto. Questo rinnovamento della nostra mentalità ci invita a ricostituire quella metriotes, degenerata in stanca quotidianità, attraverso il digiuno come riscoperta dell’essenzialità: “Non di solo pane vivrà l’uomo”, né di potere e tanto meno di vaghe aspirazioni di gloria per superare il deserto nel quale conduce la sua esistenza. (cfr. Lc 4, 1- 13) Proprio su questo luogo inospitale è opportuno continuare a meditare in questa Quaresima anche se credo sia ormai consumata l’immagine del deserto e delle sue dimensioni: fisica, sociale e interiore; ma è quanto mai efficace visto che ad una similitudine corrisponde una realtà assolutamente viva e pregnante. Le condizioni del deserto di sabbia, con la perdita dei punti di riferimento, con i miraggi, con le oasi, sono perfettamente ascrivibili alle nostre dimensioni sociali ed interiori. Pensiamo alle metropoli come Milano o New York dove milioni di persone gravitano attorno a dei nuclei economici ma non hanno nessuna coscienza di ciò che producono con il loro lavoro, ne sono assorbiti e non riescono a staccarsi dalla logica del "Fare per" in quanto questa è, quando va bene, la giustificazione della loro vita in funzione del consumo.

Wilde, qualche tempo fa, affermava: “conosciamo il prezzo di tutte le cose ma non il loro valore”. Sappiamo che dobbiamo faticare molto per soddisfare le nostre necessità, anche e soprattutto per quelle non fondamentali: la tecnologia non ha liberato affatto l’uomo dalla maledizione della cacciata dall’Eden! 

Nascono così i nuovi “miti”, ci muoviamo verso di essi i quali divengono sempre più irraggiungibili come il miraggio che inganna il viandante del deserto. La realtà ci sfugge e noi siamo storditi sotto il sole cocente di una dimensione che non sappiamo più leggere poiché abbiamo perso la chiave ermeneutica che ci permetteva di dare senso e valore alle cose; ecco perché questo smarrimento del mondo globalizzato si ripercuote in maniera devastante sul microcosmo interiore, ovvero sull’uomo, senza che egli ne sappia più uscire. 

Il popolo di Israele attraversa per quaranta anni il deserto per giungere alla “Terra Promessa” e non nasconde i suoi timori, le sue perplessità, rimpiange persino le “cipolle d’Egitto”, protesta fortemente contro Dio che lo ha abbandonato! Noi non ci rendiamo più conto della nostra permanenza nel “deserto” e la protesta è sostituita dall’indifferenza.

Il deserto, per coloro che non sono caduti in un’analfabeta insensibilità, oltre ad essere un luogo fisico, diviene il luogo della constatazione dell’assenza di Dio. Dove era Dio quando Caino uccise Abele? Dove era quando il suo popolo si consumava nei Lager? Dove è Dio quando l’uomo rimane solo nel cammino della sua esistenza? Il deserto, per costoro, suscita delle domande atroci che non accettano compromessi, le cui risposte non giungono facilmente. Solo la Croce può parlare e rispondere a tal proposito! 

L’ironia di Cristo davanti alla morte, come la racconta Giovanni, ci illumina sulla presenza –assenza di questo Dio e Padre. 

Gesù dopo aver preso l’aceto dice: “tutto è compiuto”, Τετελεσται , (tutto è perfetto) proprio per la possibilità che ha di poter leggere la possibilità di non essere più in una chiave diversa che, solo il Padre gli rivela nell’ultimo momento, quando l’abbandono è totale: “reclinando il capo rese lo spirito” κλινασ την κεφαλην παρεδοκεν το πνευμα . Proprio nell’atto di “rendere” lo spirito è la risposta! Il rendere “παρεδοκεν” ci riporta al concetto di ritorno all’origine, ovvero, ad una consegna fiduciosa al Padre, ad un rientrare nella dimensione ancestrale unificante, come il bambino nel grembo della madre, in quello stato in cui Adamo era prima della sua ancestrale disobbedienza.

Il deserto: luogo della tentazione, specchio per l’anima che sa guardare dentro, perde così la sua ambiguità e la sua negatività se è vissuto con la speranza- certezza che oltre c’è il giardino (Paradisum), la città, l’uomo. Quell’uomo che è mio fratello e da fastidioso termine di riscontro diviene mio prossimo nel bene e nel male; quella città che non è Babilonia dall’alta torre, la quale annulla la mia singolarità di uomo confondendola attraverso il linguaggio dell’individuo nichilista, bensì il luogo dove l’uomo cresce e si incontra; in fine il giardino luogo nel quale l’uomo incontra Dio e collabora con Lui riprendendo da dove aveva lasciato… tutto il resto è triste passato che non è più nella mente del Creatore ma viva memoria per l’uomo che vuol rinascere e progredire.

“Questo, o Dio, si intenda nella mente e si compia nel corpo, affinché aneliamo al propizio eterno transito pasquale […] e noi rinnovati attraverso la grazia cantiamo il Nuovo Cantico.”

 

Danilo Mauro Castiglione

Oblato Benedettino Secolare